Marzo, 2017

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Nativi americani, storie di diritti negati

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Il primo marzo 2017 abbiamo incontrato il Dr. Alessandro Martire il quale ci ha raccontato  della sua esperienza con i nativi americani e delle loro tradizioni.

   “Il Dr. Alessandro Martire, è il presidente dell’Associazione Wambli  Gleska, ed è l’unico soggetto ufficialmente autorizzato in Italia ed Europa a rappresentare il popolo Sioux (Lakota-Sicangu) di Rosebud, nonché gli Oglala di Pine Ridge; ad esso è stato conferito mandato di rappresentanza ed è Membro Onorario della Nazione Lakota Sicangu per mozione del popolo e con atto deliberativo del 1999 che lo nomina Componente della nazione Sicangu Sioux a tutti gli effetti di legge, nonché loro Avvocato Internazionale. Il suo nome Lakota è: “colui che parla per la sua gente” in Lingua Lakota “Oyatenakicijipi”, In base alle risoluzioni internazionali della Nazione lakota Sicangu di Rosebud n 202/95 -43/98- 44/98- 45/98 e n 165 emessa in data 5 agosto 2008. E’ figlio adottivo di Leonard Crow Dog Senior, e adottato ufficialmente dalla famiglia Brings Plenty- Ota Au’, nel maggio del 2014…”

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Disegno  Filippo S.

Riflessioni sui Nativi Americani

 

Tieni stretto ciò che è buono

Tieni stretto ciò che è buono,

anche se è un pugno di terra.

Tieni stretto ciò in cui credi,

anche se è un albero solitario.

Tieni stretto ciò che devi fare,

anche se è molto lontano da qui.

Tieni stretta la vita,

anche se è più facile lasciarsi andare.

Tieni stretta la mia mano,

anche quando mi sono allontanato da te.

***

Hold on to what is good,

even if it’s a handful of earth.

Hold on to what you believe,
even if it’s a tree that stands by itself.

Hold on to what you must do,

even if it’s a long way from here.

Hold on to your life,

even if it’s easier to let go.

Hold on to my hand,

even if someday I’ll be gone away

from you!

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Il 3 marzo una mamma, appassionata dei nativi americani, ci ha parlato della storia di Cavallo Pazzo.

CAVALLO PAZZO E LA TRAGEDIA DEI SIOUX

di Simona Strufaldi

Questa è la breve storia di uno dei più famosi Sioux vissuto nel South Dakota nella seconda metà dell’ottocento, ma è anche la triste storia di tutti i nativi americani a seguito della colonizzazione europea.

La figura di Cavallo Pazzo, Tashunka Uitko, in lingua Lakota, affascina più di ogni altra, forse per l’alone di mistero che da sempre ha accompagnato la vita di questo grande guerriero indiano.

E’ un mistero la data della sua nascita, che viene collocata dagli studiosi intorno al 1840-1841 nel South Dakota, un tempo popolato dai Sioux, con la grande prateria settentrionale e le grandi rocce che precedono le Montagne Rocciose, ossia le Black Hills, Colline Nere, Paha Sapa (in lingua Lakota), le montagne sacre di tutte le popolazioni Sioux del Nord America.

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Oggi sul lato di una di queste vette sacre, su un picco chiamato Mount Rushmore, gli americani hanno scolpito i volti giganteschi dei quattro presidenti americani più rappresentativi della storia, quasi a voler ribadire che quei territori, un tempo popolati solo dai Sioux, sono di proprietà dell’”uomo bianco” e del governo americano ed a ricordare lo sterminio dei nativi americani da parte dei colonizzatori europei.

Dopo molti anni ed a poca distanza da questa imponente opera, è stato scolpito un monumento altrettanto gigantesco, a colpi di dinamite, che ritrae la sagoma di Tashunka Uitko a cavallo.

Fu proprio qui che nacque Cavallo Pazzo: può sembrare strano che la data precisa della sua nascita non sia nota, mentre è noto il luogo preciso, ma ciò non deve sorprendere se si pensa che per i Sioux erano più importanti i luoghi rispetto al tempo e alle date convenzionali.

A quei tempi la grande tribù dei Sioux era divisa in tante “sotto tribù” (almeno sette): il padre di Cavallo Pazzo, apparteneva alla tribù dei Sioux Oglala, mentre la madre era la sorella del grande capo Sioux Brulè, Coda Chiazzata.

Sembra che i suoi capelli fossero più chiari di quelli degli altri indiani e che fosse ricciolo, tanto che da bambino venne soprannominato “Riccetto”, ma non sappiamo se fosse veramente così perché, a differenza degli altri capi e guerrieri indiani come Toro Seduto, Nuvola Rossa, Piccolo Grande Uomo, che accettarono di farsi ritrarre con piumaggi e altro dai fotografi ambulanti, Cavallo Pazzo rifiutò sempre di lasciarsi riprendere ed imprigionare la sua anima.

Cavallo Pazzo crebbe nella tribù del padre e fu una infanzia felice per diversi motivi.

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Da un lato, come tutti i bambini Sioux, era viziato e coccolato dall’intera tribù e soprattutto era libero; non c’erano orari, scuole, compiti a casa e pochissima disciplina: la scuola era la vita, che insegnava le arti, la tecnica, le tradizioni, le culture.

Dall’altro lato, il popolo Sioux non aveva ancora conosciuto la vera guerra con i colonizzatori e con il governo americano.

A quel tempo, infatti, le invasioni dell’uomo bianco si erano limitate al passaggio delle carovane dirette verse le terre dell’ovest ed i Siox guardavano con curiosità questi strani uomini diretti chissà dove e alcune volte avevano anche attaccato queste carovane che calpestavano senza permesso i luoghi a loro sacri.

Inoltre, vi erano le guerriglie con le tribù storicamente rivali dei Sioux (come i Corvi e gli Arapaho) per questioni di territorio o di bestiame, ma erano scaramucce ad armi pari e tra popoli con la stessa cultura e le stesse tradizioni.

Cavallo Pazzo era un solitario, un tipo un po’ strano, che talvolta lasciava il gruppetto dei compagni per starsene in solitudine e ciò caratterizzerà l’intera sua esistenza: non amava dipingersi il corpo o la faccia come gli altri, non partecipava quasi mai alla Danza del Sole o della Luna ed in guerra portava soltanto una piuma di falco rosso (suggerita da una delle sue tante visioni) ed un gonnellino di pelle attorno alla vita.

Durante l’adolescenza Cavallo Pazzo attirò l’attenzione di un famoso guerriero, Schiena Alta, ed il padre fu contento che il figlio imparasse da lui l’arte della guerra: sembra che all’inizio Cavallo Pazzo avesse qualche difficoltà ad imparare ad andare a cavallo, ma aveva una capacità soprannaturale di resistere al dolore ed al freddo.

Era sicuramente un sognatore, un uomo che viveva costantemente tra la realtà ed il mondo dei sogni, che per un Sioux era il mondo di Dio e da ragazzo cominciò ad avere importanti visioni, dapprima nella pace della prateria, di mandrie di bisonti che si avvicinavano al villaggio o di tribù nemiche nei paraggi, poi visioni più tragiche riguardanti l’avanzata dell’uomo bianco e le sue visioni si rivelarono sempre veritiere.

Spesso ricercava il contatto con Dio e le visioni isolandosi per mesi, senza che nessuno sapesse dove era, praticando il digiuno, per poi tornare all’accampamento con nuove rivelazioni.

In gioventù Cavallo Pazzo passò circa due anni presso la tribù dei Cheyenne, amici storici dei Sioux, innamorato di una giovane indiana vedova chiamata Donna Gialla e fu qui che ebbe il primo vero contatto con l’esercito americano, quando ci fu un grande massacro di questa tribù da parte dell’uomo bianco.

Cavallo Pazzo capì che ormai l’invasione dei bianchi era una realtà e sentì il dovere di tornare alla sua tribù per difendere la sua gente.

Poichè gli scontri con gli indiani erano sempre più frequenti e la “questione indiana” stava diventando un problema, il governo americano invitava sempre più spesso i capi delle varie tribù a stipulare trattati di pace che, però, venivano immancabilmente violati dai soldati americani stanziati nei territori indiani.

E tali violazioni si erano fatte più frequenti con il passare degli anni lungo la Strada Sacra (Sentiero dell’Oregon), che malgrado fosse stata assegnata agli indiani, veniva costantemente attraversata da carovane e carovane di bianchi e ciò aveva portato ad una grave diminuzione dei bisonti, che rappresentavano la principale fonte di sostentamento dei nativi americani.

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Di conseguenza gli assalti alle carovane divennero sempre più frequenti da parte degli indiani che difendevano i loro territori: il governo americano pensò allora di approfittare della mancanza di cibo dei Sioux, stabilendo che solo gli indiani “amici”, ossia quelli che non avrebbero più assalito le diligenze di bianchi, avrebbero avuto gli aiuti alimentari dal governo.

La gioventù di Cavallo Pazzo è segnata dalla progressiva invasione da parte dei coloni e si trovò spesso ad affrontare l’esercito americano.

Ben presto crebbe la sua fama di guerriero, anche nelle altre tribù e persino l’uomo bianco temeva questo grande guerriero capace di guidare migliaia di altri guerrieri e le cui visioni erano tenute in grande considerazione.

La guerra con i bianchi arrivò al culmine a causa dell’invasione delle Black Hills, che il trattato di Fort Laramie aveva attribuito definitivamente in proprietà agli indiani, in quanto si era sparsa la voce che in quelle terre era stato trovato l’oro.

Nel 1874 migliaia di soldati, guidati dal Generale Custer, invasero senza rispetto le Black Hills: i più importanti leader delle tribù, tra cui anche Toro Seduto dei Sioux Hunkpapa, che avevano rifiutato di vivere nelle riserve, rifiutarono anche di cedere le Colline Sacre e ignorarono l’ultimatum del governo che ingiungeva agli indiani fuori dalle riserve di consegnarsi alle autorità militari.

Fu così che si giunse allo scontro del fiume Rosebud, dove si trovavano accampati i Sioux Oglala e gli Hunkpapa di Toro Seduto, ma anche i Cheyenne, i Piedi Neri, gli Arapaho e i Senza Arco e che, guidati da Cavallo Pazzo, riuscirono ad infliggere un duro colpo all’esercito americano.

Ma la battaglia forse più famosa fu quella contro il 7° Cavalleria guidato dal Generale Custer che fu ucciso dallo stesso Cavallo Pazzo.

Tuttavia, dopo tale battaglia le tribù furono costrette a dividersi, perché l’esercito americano dava loro una caccia spietata.

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L’accampamento di Cavallo Pazzo fu raggiunto dai Sioux Hunkpapa giudati da Toro Seduto, ma giungevano sempre più notizie di tribù che si erano arrese e avevano accettato di vivere all’interno delle riserve sotto il controllo dell’esercito americano e dopo un inverno di stenti Toro Seduto decise di condurre la sua gente in Canada, dove finì la propria esistenza al seguito di Buffalo Bill.

Poco tempo dopo, Cavallo Pazzo, per evitare altri morti e altre sofferenze al suo popolo, decise di darsi prigioniero ad un esercito che non lo aveva mai sconfitto in battaglia.

L’ingresso nella riserva di Cavallo Pazzo e della sua tribù di poche centinaia di persone non sembrò affatto una resa: migliaia di indiani si unirono ai nuovi arrivati e cominciarono ad acclamare Cavallo Pazzo.

Ben presto, all’interno della riserva, Cavallo Pazzo fu “corteggiato” e tenuto in grande considerazione dai soldati bianchi, che ancora temevano quel grande guerriero, tanto da suscitare l’invidia degli altri capi indiani, come Nuvola Rossa che si era arreso molto tempo prima.

Quando Cavallo Pazzo accettò di incontrare il Presidente degli americani (il Grande Padre Bianco), dietro la promessa di una riserva tutta sua ai piedi delle Colline Nere, Nuvola Rossa sparse la voce che, in realtà, stava preparando la fuga e che si stava nuovamente armando contro l’uomo bianco.

Tale voce fu confermata anche dall’errore di traduzione dell’interprete indiano nel colloquio che Cavallo Pazzo ebbe con il tenente americano che comandava la riserva.

Cavallo Pazzo, a cui era arrivata la notizia del suo imminente arresto, si rifugiò nella riserva di Coda Chiazzata, lo zio materno, e spiegò che era tutto un malinteso.

Il giorno dopo decise di consegnarsi all’esercito per spiegare l’accaduto: arrivato a Fort Robinson gli venne incontro il suo vecchio amico, Piccolo Grande Uomo, che era diventato un poliziotto al servizio dell’uomo bianco.

L’ufficiale disse che non c’era bisogno di spiegare il malinteso, perché l’interprete aveva già ammesso il suo errore di traduzione e che avrebbe solo dovuto passare la notte nella baracca per poi parlare il giorno dopo con il comandante per la questione della riserva.

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Ma quando Cavallo Pazzo vide all’interno della baracca delle sbarre di ferro a forma di gabbia si rifiutò di entrare e iniziò una colluttazione con Piccolo Grande Uomo, il quale riuscì a bloccare le braccia di Cavallo Pazzo e fu allora colpito a morte dalla baionetta dell’ufficiale bianco.

Era il 1877.

Questa è la versione più accreditata della morte di Cavallo Pazzo: altri dicono, invece, che fu ucciso dal suo amico Piccolo Grande Uomo, altri che fu Nuvola Rossa a porre fine alla vita di Tashunka Uitko.

Nella notte il corpo di Cavallo Pazzo fu portato via dal padre e dalla matrigna, ma nessuno sa dove sia sepolto.

Nonostante sia passato più di un secolo dalla sua morte, il mito di Tashinka Uitko vive ancora oggi e tra i suoi discendenti c’è chi giura che il suo spirito vaga ancora libero nelle Paha Sapa.

I bambini hanno imparato la canzone di Fabrizio De Andrè, “Fiume Sand Creek” , che poi hanno cantato, il 12 marzo a San Marcello Pistoiese, davanti ai rappresentanti dei Lakota Sioux.

Massacro di Sand Creek

 

 

DIRITTI NEGATI: I NATIVI AMERICANI

di ALESSANDRO MARTIRE

(ridotto e semplificato per i bambini da Flavia Strufaldi)

Quando e perché fu proibito parlare la propria lingua Nativa Americana? E lo è ancora?

Il divieto di parlare la propria lingua iniziò nel 1870 e si protrasse sino al 1950 ufficialmente, praticamente nelle Boarding schools del Canada anche sino al 1978. La lingua insegnata ed ammessa era soltanto l’inglese Americano. Soltanto il 30 ottobre dell’anno 1990 è stato varato il Titolo I della legge pubblica numero 101-477 che poi è passata sotto il nome di “Native American Language act” che tradotto significa “Legge per la lingua Nativa Americana” la quale prevede quanto segue: 

Di dover preservare, promuovere e proteggere il diritto dei nativi Americani di usare, praticare e sviluppare la loro lingua nativa Americana”

C’è molto da riflettere, cari  i miei lettori, pensate solo nel 1990 è stata promulgata questa legge!!!

E cosa accadde con la spiritualità dei Nativi? E’ vero che anche essa fu proibita dai Conquistatori Europei Bianchi?

Certo, ed il primo a parlarne fu proprio il mio Antenato: Pietro Martire D’Anghiera, nella sua Opera chiamata “De Orbe Novo et accronicris”.  I primi infatti a proibire a costo della vita la pratica della spiritualità dei Nativi furono gli Spagnoli, tramite il loro sacro braccio operativo: “L’Inquisizione”. Ovviamente anche per i selvaggi pagani Indiani erano comminate atroci torture, e poi ovviamente, la morte dopo atroci sofferenze, se non si accettava la conversione al cristianesimo. Già nei disegni di Bartolomeo de Las Casa vediamo la pratica dei Messi del Papa, arrostire a fuoco lento i Nativi ed i loro bambini, fatti sbranare dai cani degli Spagnoli davanti agli occhi atterriti dei genitori. Erano soliti gli Spagnoli, fare scommesse in denaro, fra loro, e avrebbe vinto colui che indovinava il tempo minore in cui, un cane affamato dell’esercito Spagnolo, sbranava e dilaniava un bambino nativo. Ovviamente i genitori venivano fatti assistere allo spettacolo, che tanto divertiva Spagnoli e uomini della Chiesa, poi i genitori a loro volta, venivamo messi a cuocere sui carboni a fuoco lento. Ecco che il mio Antenato descrive e denuncia tali atrocità nell’ottava decade della sua opera, appunto il De Orbe Novo, e ci racconta Pietro Martire che i Nativi (che lui chiama nell’opera i Lyucayani) preferivano dare la morte loro stessi ai loro figli in maniera veloce e poi uccidersi loro stessi prima di essere presi dagli Spagnoli. A causa di questi fatti storici, oggi molti nativi sono sia cristiani sia seguaci della spiritualità originaria. Poi già nel 1646 nella baia del Massachusetts fu promulgata una legge dai coloni ed in particolare dal pastore John Elliot, con la quale si prevedeva la pena di morte per impiccagione per i nativi se seguaci della loro spiritualità originaria. Immaginate i primi coloni arrivano nel 1610 e, soltanto 36 anni dopo il loro arrivo in un mondo a loro sconosciuto e che li aveva accettati ed ospitati con amicizia ed amore, questi fanno una legge che mette a morte i Nativi, che li avevano accolti fraternamente, se trovati a pregare secondo la loro tradizione e se non si fossero subito convertiti alla fede cristiana sebbene protestante. Immaginate questo comportamento folle ed assurdo, che comunque spiega e rende bene l’idea dell’approccio dei conquistatori Bianchi nel così detto Nuovo Mondo.

Poi ancora dal 1493 e poi sino al 1883 una serie di leggi che proibiscono ai Nativi le loro pratiche spirituali, ricordiamo l’ atto promosso dal segretario del dipartimento degli interni Henry M. Teller ( ovviamente proveniente da una organizzazione cristiana cattolica) dal nome “ La corte per giudicare le offese degli indiani”, lo scopo era dichiarato: quello di eliminare totalmente la pratica delle odiate “pratiche atee indiane” la legge poi rivisitata in maniera ancora più drastica nel 1870, proibiva la pratica religiosa di ogni ritualità nativa americana all’interno delle riserve e comunità native, l’ assurdo di questa legge era che, se un bianco, avesse praticato alcuno di questi rituali non sottostava alla legge che era riservata solo ai Nativi Americani e non ai bianchi! L’opposizione del Governo Americano alle pratiche spirituali dei Nativi proseguì fino a tutto il 1920, quando il timorato cattolico osservante Agente degli affari Indiani Sig Charles Burke inviò formale dichiarazione a tutti gli “Indiani” ordinando loro di abbandonare ogni danza e pratica religiosa nativa o volontariamente od altrimenti ciò sarebbe stato ordinato anche con l’uso della forza (Spicer 1969, p.241). Solo nel 1978 -praticamente ieri- viene emesso l’atto del Congresso conosciuto come “L’ Indian Freedom Religious act”, il quale restituisce la libertà delle pratiche spirituali ai Nativi.

 

I Nativi sono i proprietari delle loro terre?

Il governo non è il “guardiano” di soggetti Indiani Americani.  Il Governo, in alcuni casi è il “fiduciario” di alcuni tipi di proprietà dei Nativi. Questa proprietà “fiduciaria” del Governo, spesso, è collegata con il territorio della riserva e delle risorse che in essa sono prodotte o dalla quale ne derivano. Il Governo ha la proprietà “fiduciaria” delle riserve federalmente riconosciute. La proprietà delle terre, nei confini territoriali della riserva, può essere tribale e gestita dall’ufficio tribale che si chiama “Tribal Land Enterprise” oppure individuale di Componenti della Tribù. Dipende da circostanze di varia natura. Consideriamo una generale comparazione fra ciò che è una proprietà fiduciaria e cosa non lo è. Per esempio la terra della Riserva dei Dinè (Navajo), è in proprietà fiduciaria da parte degli Stati Uniti D’America. Per cui le decisioni di maggiore importanza che riguardano il territorio devono obbligatoriamente essere sottoposte alla approvazione del Bureau Of Indian Affairs. Di contro un appezzamento di terra acquistato da un Nativa Dinè (Navajo) nella lontana città di Phoenix in Arizona non sarà mai in proprietà fiduciaria ma del singolo individuo.

I Nativi sono cittadini Americani?  E in caso positivo da quando?

I Nativi Americani oggi sono cittadini Americani. Il loro riconoscimento è avvenuto con “L’Indian Citizenship Act” del 1924. Nel 1934 il Congresso ha varato la legge chiamata Indian reorganization Act (IRA) con la quale si metteva fine al distruttivo sistema creato nel 1887 dell’allotment act, il quale smantellò fisicamente molte riserve indiane americane. I Nativi Americani sono: Cittadini Americani, sono cittadini e residenti dello Stato Americano dove insiste geograficamente la Riserva, e sono Componenti della Tribù di appartenenza. Sottostando, quindi, a tre gradi di giurisdizione.

Qual è la popolazione Nativa Americana oggi?

Per quanto riguarda la popolazione dei Nativi si consideri che alcune stime antropologiche evidenziano che allo sbarco di Colombo nel 1492 si contavano circa 70/80 milioni di Nativi dall’Alaska all’Argentina. In 500 anni i dati sono: nel 1990 il censimento riportava il dato di 1.959.234 persone identificabili come Nativi Americani inclusa l’Alaska, su un totale, sempre alla stessa data di circa 248.709.873  in Alaska e Stati Uniti d’America. Senza quindi contare l’America centrale e del Sud.

Del numero su indicato il 22,3% dei Nativi vive oggi all’interno di aree geografiche designate come Riserve federalmente riconosciute, il resto vive al di fuori delle Riserve.

Conclusione

La percezione  che si ha, delle riserve di Rosebud e Pine Ridge, dopo avervi vissuto per oltre 28 anni, a volte, è simile a quella di una prigione, una prigione così grande, che le sbarre non  possono essere avvertite  da coloro i quali vi transitano di passaggio, o semplicemente da coloro che fanno una breve visita, magari solo per vedere o partecipare alle nostre cerimonie spirituali, come spesso avviene da parte dei curiosi turisti bianchi o da motivati seguaci delle nuove forme di new- age,  alla spasmodica ricerca di una filosofia o religione alternativa da seguire, ed in alternativa ai fallimenti delle tre religioni monoteistiche, che, in molti casi, non danno più risposte ai bisogni dell’anima di questa moderna società. In realtà non appena un Membro tribale esce dai confini territoriali della riserva, si trova subito coinvolto, tutt’oggi, in gravi episodi di razzismo. Ecco quindi che le sbarre fatte di razzismo ed indifferenza dell’uomo bianco, che ha materialmente rubato queste terre ai Nativi, e che oggi, con indifferenza e presunta superiorità   vive ai confini delle riserve, con tutti i suoi pregiudizi, con le sue assurde leggi, con la sua bigotta religione nonché con i suoi stereotipi, segnano di fatto una forte discontinuità tra due aree geografiche limitrofe. La povertà è grande, nella mia vita con i Lakota, spesso ho visto anziani morire di freddo e di fame, bambini cercare il cibo nella spazzatura, anziani che non avevano d’inverno neppure la legna da ardere per riscaldarsi, scene da terzo mondo nel Cuore della democratica e moderna America!

Questo, è solo un accenno della realtà, come spesso ho avuto modo di dire, il vero male, la vera malattia oggi dei Nativi e dei Lakota è quella del “mal vivere” nella Riserva, con tutto ciò che comporta, lo stress, la depressione viene fuori come campanello di allarme, a prescindere dai sintomi fisici manifestati, spesso tale malessere sfocia nell’alcolismo, nel suicidio anche di ragazzi in giovane età.

Il motore di tutti i malesseri dei Nativi e dei Lakota quindi, pare essere la perdita di identità culturale, questo è uno degli aspetti più tristi cui la mia gente sta andando incontro.

Le riserve di Rosebud così come Pine Ridge e le altre, sono estremamente povere sotto il profilo materiale e come lo intende l’uomo bianco, per più di un secolo, gli abitanti di queste comunità sono stati relegati ai margini dell’economia statunitense. Analogamente a molte altre comunità aborigene della periferia dell’economia mondiale, i Lakota devono fare i conti con fenomeni quali: alta disoccupazione, flussi emigratori per lavoro salariato, accesso limitato se non esistente al credito. Questi elementi si sommano, come visto in precedenza, agli altri fenomeni di dismetabolismi vari e forme di depressione e di stress generale. Nonostante tutto ciò, i Lakota continuano ad essere distinti dagli altri popoli. Perfino all’inizio del terzo millennio, il loro modo di abbigliarsi, le loro pratiche spirituali, l’organizzazione familiare, le forme d’arte ed i valori sociali coesistono, dando forma ad un senso di collettività e di identità culturale.

I popoli aborigeni Americani ed i Lakota, oggi devono guardare al loro futuro ed a quello delle loro generazioni che verranno, è quindi essenziale lavorare su alcuni aspetti che possono essere così riassunti:

1- mantenimento e diffusione fra i Membri Tribali dell’originaria cultura, storia, lingua e spiritualità, grazie anche al lavoro dei tradizionalisti, degli intercessori spirituali e dei “grass root people”, cioè di coloro (generalmente gli Anziani), che possono trasmettere quanto era conosciuto in passato.

2- gestione delle proprie risorse territoriali ed umane: mediante la valorizzazione del territorio e della cultura, sviluppare forme di economica domestica tesa a creare ricchezza economica all’interno delle riserve.

Includere e lavorare in armonia tra Governo/IRA cioè il Consiglio tribale e gli esponenti del governo tradizionale, l’Oceti Sakowin, ancora oggi presente; in tal modo da creare come un doppio organo politico-governativo, che possa includere a livello consultivo i suggerimenti dei tradizionalisti all’interno delle decisioni assunte dal Governo tribale che ha, oggi, rapporti di semi-sovranità col Governo Statunitense.

 

I TRASFORMATORI – Robot e non solo

Noi siamo “I Trasformatori”, perché?

 

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La giornata

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L’ape, il suo ambiente e i suoi alleati

1- L’ape è la protagonista del 5* concorso internazionale di scienza e robotica. Ma quali possono essere i suoi alleati?

Per prima cosa abbiamo deciso di rinfrescarci la memoria e  tornare a parlare dell’ape.

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2- Dopo una lunga discussione di classe abbiamo deciso di scegliere, come animale che fa parte dell’ambiente dell’ape, l’orso bruno. 

Abbiamo deciso di approfondire la conoscenza di questo grande animale.

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Ad ogni ambiente il suo orso. Ciascun bambino ha cercato informazioni su un orso diverso. 

3- L’orso nei libri, nei cartoni animati, nei film

4- L’ape e l’orso in lingua inglese e in lingua spagnola.

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5-L’ambiente dell’orso e dell’ape creato con gli origami 

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6- Lavoriamo con le costruzioni, con i mattoncini Lego, per creare il nostro orso robotico. I “progetti” cambiano velocemente, l’orso si evolve. Pensiamo di fargli muovere una zampa, poi di fargli alzare e abbassare le zampe davanti, … Infine decidiamo di farlo muovere avanti e indietro con un motore e il telecomando.

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7- I nostri orsi fantastici

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8-L’orso è sullo stemma della città di Pistoia, perché?

 L’Orso di PISTOIA, città della cultura 2017

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Un grande scudo suddiviso in trentasei scacchi color argento e rosso, sormontato dalla corona della città e sostenuto da due orsi con la testa rivolta all’indietro, coperti da svolazzanti mantelli anch’essi a scacchi argento e rosso e foderati di verde, questo E’ LO STEMMA DELLA CITTA’ DI PISTOIA.

La scacchiera, secondo alcuni studiosi, potrebbe derivare dalla suddivisione delle vie sulla piantina della Pistoia romana oppure, più semplicemente, dal gioco degli scacchi.

Gli orsi, che si trovano ai lati, invece, inizialmente non facevano parte dello stemma: furono aggiunti verso la metà del 1300, dopo che la città con l’aiuto di Firenze, si era liberata dall’assedio di Milano.

Come mai fu scelto proprio l’orso come simbolo della città di Pistoia?

Qualcuno ha spiegato questa scelta con il fatto che probabilmente, a quei tempi, qualche esemplare si aggirava ancora nella valle dell’Orsigna oppure nei boschi della montagna pistoiese.

E’ probabile però che più che alla presenza degli orsi sui monti di Pistoia, la loro raffigurazione sullo stemma del COMUNE DI PISTOIA fosse un tentativo di imitazione di quello della città di Firenze, dove era raffigurato un leone.

I pistoiesi, perciò, opposero al leone fiorentino un animale altrettanto fiero e selvaggio: l’orso.

Con il passare degli anni, però l’animale simbolo della città chiamato popolarmente MICCO, ha perso i suoi connotati di fiero e possente. Infatti nel dialetto pistoiese, MICCO, significa una persona un po’ credulona ed ingenua.

A Pistoia, ”restare come un micco” significa restare di stucco oppure fare la figura dello sciocco.