#caramellineallafrutta Diario di una Vergine sbiadita#caramellineallafrutta Diario di una vergine sbiadita

Diario di una vergine sbiadita

Diario di una vergine sbiadita

‘Scartare’ #caramellineallafrutta, il Tweetbook di @sonouoma, è stato a tutti gli effetti un’esperienza estetica: l’irruzione improvvisa nel campo visivo di una realtà a lungo attesa, che mi ha sedotto ben oltre le aspettative. Ideato da U10 – piattaforma editoriale che si occupa di online publishing – e Segue Dibattito – progetto di arte contemporanea volto alla promozione della giovane creatività nazionale – e realizzato in collaborazione con la Pinacoteca di Città di Castello,  #caramellineallafrutta unisce l’eleganza formale di uno scrollbook alla suggestione senza tempo della poesia. I caratteri scarni e la circolarità essenziale della veste formale, ridotta a pura carta, liscia al tatto, paiono in effetti armonizzarsi tout court, fino fondersi sensualmente, con l’opulenza dei contenuti, affidati al talento narrativo di Sara Polverini. Prima di essere una sottile striscia di carta bianca, srotolabile come una piccola pergamena del futuro, #caramellineallafrutta è stato un diario digitale dell’anima, trasmesso su Twitter dall’account @sonouoma dal 4 all’8 Marzo, per cinque giorni consecutivi, a partire dalle ore 21. #caramellineallafruttaLa protagonista del racconto,  Uoma, è una figura femminile dai tratti fisici appena sbozzati, che snoda e consuma tra le pareti di una delle più prestigiose sale museali umbre un percorso esistenziale di disperazione e rinascita. Vedova poco più che trentenne e madre della piccola Dalia, Uoma ama fondersi con l’ambiente circostante, nella speranza di struggersi in modo indolore e incolore, fino a sparire. Nelle “solitudini chilometriche” delle panchine, dimenticate alla sera e vuote all’alba, ella consuma quel suo morire a piccole dosi, sostando inerme nei giardinetti pubblici in compagnia di un presente informe e privo di speranza. Prigioniera di un passato che non sa dimenticare, Uoma torna indietro con determinazione che sfiora il masochismo a frammenti di una felicità ormai perduta e rivive mille volte, nella tragicità composta dei suoi pensieri, l’addio definitivo al marito, che si è consumato nel tonfo secco di un incidente. Mentre Dalia disegna, con i tratti incerti dei pastelli, case che non hanno bisogno di un tetto, Uoma, per dimenticare la solitudine che la divora, stringe tra i denti proprio uno di quei colori. Si tratta di un gesto consueto: quel rumore secco le ricorda il sapore delle #caramellineallafrutta, che tanto le piacciono. Simile a un uovo bianco che oscilla avanti e indietro, priva di un equilibrio ormai venuto a mancare,  Uoma vaga senza pace all’interno della Pinacoteca, cercando tracce dell’antico amore in compagnia di un rimpianto niente affatto sorridente e le pare di intravedere, tra i fregi e gli affreschi, il volto del marito, che in quelle sale, tra le chine e i colori, trascorreva i suoi giorni. Il Limbo di Uoma è d’improvviso interrotto dall’arrivo di una creatura femminile dai sembianti angelici, non a caso insignita dell’evocativo nome di Laura. Sotto le mentite spoglie di una studentessa vestita di seta e appassionata del Vitelli, Laura –  un po’ visiting angel un po’ incarnazione delle nervose figure femminili illustrate un tempo dal marito – incrocia Uoma nei corridoi del suo Inferno di memorie, le porge un gladiolo e, subito prima di involarsi per sempre, le lascia in dono un biglietto.

#caramellineallafrutta

#caramellineallafrutta

In quel foglio, gettato svogliatamente in borsa e per caso ricordato poco prima di spegnere le candeline di Dalia, è nascosto un messaggio d’amore che viene da un Altrove per un momento a portata di mano: “La tua pelle è leggera come quella delle vergini del Cinquecento. Ti amerà sempre”. Nella rinascita che segue all’addio definitivo, Uoma , pacificata, stringe tra i denti uno di quei colori che hanno il sapore delle #caramellineallafrutta, pronta finalmente a mordere la vita. Elisa Lucchesi

#MilesGloriosus#MilesGloriosus

Il 15 Marzo 2013, la classe III Liceo Scientifico dell’Istituto Omnicomprensivo di San Marcello Pistoiese ha proposto, dalle 11,40 alle 12,35,  il live twitting del “Miles Gloriosus” di Tito Maccio Plauto.

Il progetto è stato ideato e coordinato da Elisa Lucchesi.

Lo storify dell’evento è disponibile su http://t.co/2boQKTtKIV

“Father and Son”

13 Febbraio 2013

San Marcello Pistoiese, Italia

All’interno del libro VI dell’Eneide, il figlio di Venere e Anchise sbarca a Cuma, antica colonia
greca, presso la quale si trova l’oracolo della profetessa Sibilla.

Quest’ultima, già invasata da Apollo, suggerisce all’eroe di invocare la misericordia del dio, il cui tempio sorge in una zona limitrofa all’antro dove si trova collocato l’oracolo.

Enea, dopo aver pregato Febo, chiede alla veggente di accompagnarlo nel regno di morti per incontrare il padre Anchise.

La Sibilla illustra ad Enea le difficoltà dell’impresa e lo avvisa che non potrà ottenere ciò che desidera prima di aver compiuto alcune azioni simboliche a seguito delle quali potrà finalmente entrare negli Inferi con l’aiuto della sua guida.

Superate le prove imposte, Enea può dare inizio alla propria descensio ad Inferos. Dopo aver oltrepassato il vestibolo ed essere stato traghettato da Caronte al di là della palude Stigia, incontrerà alcune anime, tra cui quella corrucciata e ostile di Didone, suicidatasi proprio a causa sua (cfr. infra). Giungerà poi al cospetto del sospirato Anchise il quale, dopo le prime commoventi parole scambiate col figlio, lo tranquillizzerà sul destino della sua stirpe e sul futuro di Roma.

Nel libro VI dell’Eneide, l’incontro con i morti sancisce non solo un patto generazionale, ma anche la trasmissione di una egemonia e di un potere capaci di collegare il mito alla storia. Proprio in questo senso l’opera virgiliana si differenzia da Odissea XI , in cui viene illustrato esclusivamente un susseguirsi di generazioni che fonda una mitologia e insieme il senso comune di una civiltà basata su rapporti sociali e politici.

È proprio in questa prospettiva rinnovata che l’eroe compie un viaggio nell’aldilà alla ricerca del proprio padre e non più dell’indovino Tiresia. Sarà inoltre il padre di Enea, Anchise, e non la madre (come si verificava invece in Odissea XI, per Anticlea) a rivelare all’eroe non solo ciò che lo attende, ma anche quanto accadrà alla sua discendenza.

L’annuncio della gloria futura s’inscrive, quindi, in una continuità fra generazioni di tipo patrilineare.

La novità della profezia di Anchise consiste, inoltre, in un presagio politico all’interno del quale  non mancano importanti riferimenti storici.

I sentimenti privati di Enea , quali l’amore per il padre o il rimorso per il suicidio di Didone, si inseriscono così nella cornice di una storia collettiva e di un progetto politico.

L’apparizione stessa di Didone “aversa” e “inimica” (vv. 469 e 472) travalica la vicenda personale e allude alla vendetta cartaginese e a un confitto che insanguinerà il Mediterraneo per oltre un secolo.

Gloria Ceccarelli, Francesca Santi

Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi

February 13, 2013

San Marcello Pistoiese, Italy

In the VI book of Eneide, the son of Venus and Anchises get off Cuma, an ancient greek colony, where the oracol of Sibil, the prophetess, lies.

This one is deeply in love with Apollo and suggests the hero to invoke mercy of God who’s temple lies in a place near the cave. Aeneas, after invoking Phoebus, asks the prophetess to take him  to Hades to meet the father Anchises.

Sibil shows Aeneas the difficulty of the task and warns him that he cannot obtain what he wishes before placing some symbolic actions after which he will be allowed to enter the Hell with the help of his guide.

After overcoming the imposed actions, Aeneas can start his own descensio ad Inferos. After going past the vestibule and being carried by Caronte over the Stige’s swamp, he will meet some souls, including the one frown and hostile of Dido, who suicided herself precisely because of him (compares infra). Then, he will reach the coveted Anchises who, after the firsts crying words shared with the son, will calm him about the destiny of his descent and the Roman future.

So, In this book (Eneide VI), the encounter with the dead marks not only a generational deal, but also the transmission of an egemony and a power able to link myth to history. In fact, Virgil’s production differs from Odyssey, in which we can find only a succession of generations that founds a mythology and at the same time a sense of community based on social and political relations.

Just in this renewed prospective the hero undertakes an after-life trip searching for not a fortune-teller, but his own father (compares Odyssey XI).

Moreover, Anchises himself will reveal Aeneas what future deserves to him and his descendants, not his mother, as it happened in Odyssey XI. So, the announcement of future glory is evident in a continuity between patrilineal generations.

Besides, the novelty of Anchises’ prophecy consists of a political omen in which there are important historical references.

The private feelings of Enea (the love for his father, the remorse for the suicide of Dido) become part of a common historical frame and political project.The appearance itself a aversa (adverse) and inimica (inimical) Dido (vv. 469 and 472) goes beyond the personal vicissitude and alludes to the carthaginian revenge and to a conflict which will cover with blood the Mediterranean for over a century.

Gloria Ceccarelli, Francesca Santi

Editorial Supervisor: Elisa Lucchesi

Appunti sulla catabasi omerica Insights on Homeric catabasis

10 Febbraio 2013

San Marcello Pistoiese, Italia

L’incontro con i morti, nel canto XI dell’Odissea, risulta indubbiamente composito, mostrando fonti diverse e successive sovrapposizioni. Ciononostante, nelle sue varie parti, esso presenta una propria coerenza di fondo. Le discordanze nel contenuto lasciano intatta la sfumatura mitopoietica, che collega strettamente la sorte pubblica ai destini privati sia nel disegno stesso che nei singoli episodi dell’opera.

Di contro alla tradizione omerica, in cui i defunti sono impossibilitati al dialogo, poiché non possiedono né emozioni né pensieri, qui l’innaturale colloquio avviene attraverso una libagione sciamanica che non solo concede loro la parola, ma il potere di divulgare la verità:

E quando là le famose larve dei morti/ avrai supplicato, un montone sacrifica/ e una pecora nera volgendone all’Erebo il capo/ e volgi te stesso al cospetto del fiume:/ anime spesse vedrai apparire dei morti”.

Odissea X, vv. 526-530

Ciascun incontro, in cui i defunti raccontando la vita passata ne rivelano il senso ad Ulisse, si risolve in un’attenzione particolare alla trafila generazionale.

Non a caso la prima anima che Odisseo riconosce nell’Ade è quella di Elpenore che invoca un segno di cittadinanza tra i vivi, una sepoltura che i posteri possano vedere e riconoscere affinché la sua memoria non vada perduta:

ma bruciami, ornato dell’armi che avevo,/ e un tumolo innalza sull’ido del mare/ grigio: che giunga anche ai posteri il nome/ di quest’uomo infelice”.

Odissea XI, vv. 75-78

La continuità alla quale i defunti omerici si interessano costantemente non riguarda il singolo, ma una porzione significativa dei valori di una comunità. In questo modo la sorte dell’umanità è sempre inserita in un universo di segni comuni sia ai mortali che agli dèi sulla base dei quali è possibile costruire una circolarità del senso tra i vivi e i morti.

In analogia al cap. XXIV della Genesi Biblica in cui il servo Arram, inviato da Abramo in cerca di una sposa per il figlio Isacco, sa riconoscere il segno divino che designa la prescelta, Ulisse sarà capace, secondo Tiresia, di riconoscere il segno per porre fine all’ostilità di Poseidone e fare finalmente ritorno a Itaca (cfr. Odissea XI vv. 133-183).

Addirittura, nell’incontro di Odisseo con la madre, è la stessa Anticlea che diventa emblema della coesistenza tra un sentimento privato e un importante interesse sociale, fino ad oggi travalicato e lasciato in disparte da una chiave interpretativa troppo modernizzante. Essendo figlia del Romanticismo, gran parte della critica novecentesca ha sottolineato soprattutto la parte ‘privata’ del colloquio, i sentimenti tra madre e figlio.

Sebbene non si possa ignorare un coinvolgimento di tipo emotivo e personale, collocato nella parte conclusiva dell’incontro:

Perchè, madre, svanisci, sebbene/ io brami di stringerti a me, così/ che anche nell’Ade abbracciati possiamo/ di questo triste gemente colloquio godere?”.

Odissea XI, vv. 208-211

Odisseo manifesta fortemente la volontà di verificare le parole di Tiresia sul privilegio reale di Laerte e Telemaco e sulla fedeltà di Penelope (cfr. Odissea XI, vv. 180-190).

L’episodio verte sulla costruzione di una serie di parallelismi in cui la prospettiva delle gerarchie sociali e del potere politico non è mai trascurata: Laerte dorme con i servi, Telemaco banchetta con i primi della città, e Penelope, che piange ogni notte, non ha consentito a nessuno di usurpare il trono di Ulisse.

Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri

Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi

February 13, 2013

San Marcello Pistoiese, Italy

The encounter with the dead in the canto XI from Odyssey is without any doubt composed of more parts, showing different sources and next superimposing. Nevertheless, in its different parts, it shows an own basic coherence. The discordances in the content let the mythopoetic shade intact, which links strictly the public sort to the private destinies both to the framework itself and the single episodes of the play.

In contrast with the Homeric tradition, in which the dead are not allowed to dialogue, because they aren’t gifted with any emotions or thoughts at all, here the unnatural encounter takes place by a shamanic libation which not only gives them the word, but the ability to spread the truth:

“E quando là le famose larve dei morti/ avrai supplicato, un montone sacrifica/ e una pecora nera volgendone all’Erebo il capo/ e volgi te stesso al cospetto del fiume:/ anime spesse vedrai apparire dei morti” (Afterword you will have begged there the famous shadows of the dead, make a sacrifice a ram and a black sheep turning its head to Erebus and turn yourself towards the river: thick souls of the dead will appear to you).

 

Odissea X, vv. 526-530

Each encounter, in which the dead, telling the past life, reveal the sense to Ulysses, transforms into a particular attention to the generational range.

In fact, the first soul which Odysseus recognizes in Hades is the one of Elpenor who invokes a sense of mingling among the living, a burial that the descendants can see and recognize in order to preserve the memory:

“ma bruciami, ornato dell’armi che avevo,/ e un tumolo innalza sull’ido del mare/ grigio: che giunga anche ai posteri il nome/ di quest’uomo infelice” (But burn me together with the weapons I had, and lift a tomb on the Ido of the grey sea: let my name, the name of this unhappy man, arrive to the descendants too).

 

Odissea XI, vv. 75-78

The continuity in which the Homeric dead are interested, does not consider the individual, but a meaningful part of the values of a community. So that the sort of humanity is always integrated in an universe of signs that shares both to the mortals and to the gods, thanks to which we are able to build a circularity of the meaning between the living and the dead.

In an analogy with the XXIV chapter of Biblical Genesis in which the servant Arram is sent by Abraham to find a wife for his son Isaac, the divine sign designating the chosen one can be found, according to Tiresias, Ulysses will be able to see the sign in order to put an end to the hostility of Poseidon and finally return to Ithaca (Odyssey XI compares vv. 133-183).

Even in the encounter with his mother, it is Anticlea herself who becomes the symbol of the coexistence between a private feeling and an important social interest, until now bypassed and left aside in a way that is altogether too modern. As the daughter of Romantcism a large number of twentieth century critics stressed the “private” part of the interview, the feelings between mother and son.

However, we cannot ignore the emotional and personal involvement of the final part of the meeting:

“Perchè, madre, svanisci, sebbene/ io brami di stringerti a me, così/ che anche nell’Ade abbracciati possiamo/ di questo triste gemente colloquio godere?” (Why are you disappearing, mother, even if I crave to hold you tight, so as, even in Hades, we can be glad of this sad and moaning encounter, by staying embraced?).

Odissea XI, vv. 208-211

Odysseus shows strongly his desire to verify the words of Tiresias regarding the royal privilege of Laertes and Telemachus, and the faithfulness of Penelope (Odyssey XI compares vv.180-190).

The episode focuses on a structure of a sequence of parallelisms in which the perspective of social hierarchies and political power are never neglected: Laertes sleeps with servants, Telemachus feasts with the important people of the city, and Penelope, who cries every night, allowing no-one to usurp the throne of Ulysses.

Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri

Editorial Supervisor: Elisa Lucchesi

Le strane metamorfosi di TiresiaThe strange metamorphosis of Tiresias

13  Febbraio 2013

San Marcello Pistoiese, Italia

 

Il tema dell’incontro di un personaggio vivo, spesso di particolare fama, con un defunto ha avuto ampio spazio nella letteratura occidentale, sin dai tempi di Omero.

Secondo Luperini, ogni cultura elabora un senso d’identità raccontando a se stessa la propria storia e dunque mettendosi in relazione con il passato. Del resto anche la letteratura, selezionando nel tempo contenuti poetici di autori diversi, tramanda solo ciò che ritiene non debba essere dimenticato.

Per gli autori antichi, da Omero fino a Dante, l’incontro con i morti ha una funzione fondante, mitopoietica, che tende alla costruzione di un futuro in relazione al passato. Con Omero avrà del resto inizio la cultura greca, che si concluderà virtualmente con la figura dissacrante e ironica di Luciano di Samosata.

Sia Omero che Luciano, sebbene in modo assai diverso, affrontano il tema dell’incontro con l’indovino Tiresia: nell’Odissea l’indovino spiega ad Ulisse il senso della vita, mentre nel Dialogo dei morti esso invita il suo interlocutore a cogliere l’attimo, esprimendosi con queste parole:

Fra tutte le cose cerca soltanto questo, passa il momento presente adattandoti al meglio, ridendo di tutto e non prendendo nulla sul serio

Lucianus, Necyomantia, 21

Manca tuttavia nelle parole di Luciano quel senso di malinconia ‘nera’ che sarà invece caratteristico di Giacomo Leopardi. Quest’ultimo rappresenta i morti come esseri silenziosi e gravati da un forte torpore fisico, che li rende insensibili e del tutto estranei al mondo dei vivi: nei Paralipomeni, come nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, i morti sono ‘voci del nulla’, poiché non comunicano né valori, né ricordi, né emozioni.

Nell’universo concettuale di Leopardi l’aldilà dei morti è ancora, apparentemente, quello degli antichi, ma i defunti mostrano in realtà una netta frattura con il mondo dei vivi e sono ormai divenuti figure prive di significato. Del resto proprio con il poeta di Recanati ha inizio l’epoca moderna della letteratura: nella modernità la morte non è più in grado di comunicare una risposta al bisogno di significato esistenziale e dunque, proprio come accade nei testi di  Leopardi, il morto non parla più.

Asia Pagliai, Ilaria Sichi

Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi

February 13, 2013

San Marcello Pistoiese, Italy

A recurring theme in the course of literary history is the analysis of the encounter of all often well living character with that of a dead one. This phenomenon has been discussed from the times of Homer on.

According to Luperini, each culture elaborates a sense of identity by telling itself its own history thus putting itself into a relationship with the past. In fact, literature passes on what should not be forgotten by selecting in time the poetic contents of different authors.

From Homer to Dante, for the classical authors, the encounter with the dead has a fundamental and mythopoeic function, which tends to build a future in relationship to the past. With Homer it will initiate the Greek culture which will conclude with the desecrating and ironic figure of Lucianus from Samosata.

Both Homer and Luciano treat the theme of the meeting with the seer Tiresias in a different way. In Homer’s Odyssey the soothsayer tells Odysseus the meaning of life, while in the dialogues of Lucianus he invites him to seize the moment with this words:

“Fra tutte le cose cerca soltanto questo, passa il momento presente adattandoti al meglio, ridendo di tutto e non prendendo nulla sul serio”

(Among all things seek only this, the present adapting yourself as best you can, laughing of everything and not taking anything seriously.)

Lucianus, Necyomantia, 21

However, Lucianus’s words lack that sense of “black” melancholy, that characterizes Giacomo Leopardi, who represents the dead as silent beings burdened by a strong physical torpor that makes them insensitive and completely estranged from the world of the living: in Paralipomeni, like in the Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie (Dialogue of Federich Ruysch and his mummies), the dead are “voices of nothing”, because they don’t communicate values, memories or emotions.

In the concept of the universe of Leopardi the after-world of the dead is still apparently that of the ancients, but the dead show a net break with the world of the living and have became meaningless figures. In fact, it is with the poet from Recanati  that modern literature begins: in modern times death is not able to answer the need for existential significance and so, just as in Leopardi’s texts, death speaks no more.

Asia Pagliai, Ilaria Sichi

Editorial Supervisor: Elisa Lucchesi

“Dono, dunque siamo” – Pistoia si veste di cultura

Pistoia ha trascorso un weekend di fine Maggio ospitando personaggi di rilievo del panorama culturale italiano e internazionale in occasione dell’evento annuale “Dialoghi sull’Uomo” . Questa terza edizione, caratterizzata da un tutto esaurito raggiunto in tempi assai rapidi, ha visto partecipare, tra gli istituti extra urbem, anche quello di San Marcello Pistoiese, che come gli altri ha garantito la presenza di un piccolo gruppo di volontari nello staff della manifestazione.
Il tema scelto, quello del dono, è stato suggestivo e fecondo, tanto da suscitare l’intervento di sociologi di fama mondiale come Bauman, professori universitari come Settis e Chiara Frugoni, scrittori come Stefano Benni e Daniel Pennac, fino a esponenti religiosi importanti come padre Enzo Bianchi.
Tutti hanno parlato del donare suggerendone una diversa chiave interpretativa, ma tutti sono stati accomunati dall’intendere il dono come capacità di creare e fondare relazioni umane significative.
Salvatore Settis, togliendosi la giacca e parlando in piedi davanti al microfono, ha formulato un collegamento tra il concetto di dono e quello di bonum commune parlando dunque dell’ambiente, o meglio- per citare il suo discorso- di un paesaggio eticamente corretto. Quest’ultimo rappresenta un dono per le generazioni future nel quale viviamo noi e nel quale vivranno i nostri posteri.
Padre Bianchi ha parlato, invece, del dono inteso come ospitalità, cioè come l’incontrarsi all’interno di un crocevia di cammini. L’ospitalità verso l’altro, il vero altro, ossia colui che emerge non scelto davanti a noi, che giunge portato semplicemente dall’accadere degli eventi, è il dono che ci rende uomini, che umanizza la nostra umanità.
Per Benni e Pennac, che hanno intitolato il loro incontro “Il dono della scrittura” , è attraverso un libro che si compie il dono della condivisione: con i propri lettori si instaura una dare composto dalle esperienze, dalle idee e dalle opinioni che lo scrittore espone ai lettori.
Chiara Frugoni, che ha studiato come le figure di S. Francesco e S. Chiara si siano rapportati al denaro e quindi all’elemosina, ben diversa dalla carità. In effetti, la carità era vista nel Medioevo quasi come un’arroganza mossa dal concetto della pietas, mentre l’elemosina era un dovere dei ricchi, che restituivano in quanto dispari ai poveri, ciò che avevano sottratto tramite l’esautorato o la vessazione.
Senza dubbio evento clou dell’intera kermesse culturale è stato l’intervento di Zygmunt Bauman, i cui studi vertono sugli aspetti salienti della società globalizzata, sui processi di individualizzazione e i mutamenti nella definizione di pubblico e privato con conseguenze filosofiche e morali del nuovo capitalismo. Lo studioso ha definito il Precariato l’attuale rimpiazzo dei termini ” zombie” Proletariato e Ceto medio. A suo giudizio, ciò che tiene insieme il precariato – ossia un insieme diversificato- facendone una categoria unica e coesa è la sua condizione di massima frammentazione, atomizzazione. Tutti i precari soffrono, ma tutte le loro sofferenze mostrano una somiglianza sorprendente tra loro: la riduzione ad un’ unica incertezza esistenziale, fonte inesauribile di umiliazione.
Il dono, visto sotto questa luce, assume il nome di solidarietà. Il titolo dell’incontro era, in effetti, “La solidarietà ha un futuro? ” . Le sofferenze dei precari non si sommano, bensì dividono coloro che le subiscono, negando il conforto di un destino comune e facendo apparire risibili gli appelli alla solidarietà. Ciascuno soffre da solo, afflitto regolarmente da un’ ingiusta punizione per aver commesso collettivamente i peccati di scarsa accortezza e mancanza di industriosità. Ma bisogna ricordarsi che a rendere il mercato tanto crudele è il fatto di non tenere minimamente conto che certe persone sono molto meglio attrezzate di altre per scegliere bene, poiché possiedono il capitale sociale, il sapere o le risorse.
Questi, in sintesi, i Dialoghi sull’uomo; doni preziosi elargiti al sapere popolare.

 

Giovanni Albergucci

Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi

 

Una passeggiata tra i prati di asfodeloA walk through the meadows of Asphodel

                                                                                                             13 Febbraio 2013

San Marcello Pistoiese, Italia

 

“Gli autori classici non hanno solo un’importanza letteraria, ma fondano una civiltà”.

È più o meno con queste parole che Romano Luperini ha aperto il suo intervento dedicato a “Il tema del colloquio con i morti da Omero fino a Dante”.

Attraverso un percorso in diacronia, il noto critico letterario si è proposto di analizzare l’argomento evidenziando, in primo luogo, la differenza tra mondo antico e mondo moderno.

Nel mondo antico, la poesia era composta principalmente al fine di fondare una civiltà ed era dunque, soprattutto, poesia epica. Meno rilevante era il peso che veniva attribuito alla poesia lirica, sebbene ciò non ne escludesse una pur cospicua produzione (basti pensare, a questo riguardo, al Liber del celebre poeta latino Catullo).

La poesia lirica, del resto, assumerà valore preponderante solo a partire dall’Ottocento in virtù di uno dei maggiori esponenti del romanticismo italiano, Giacomo Leopardi, che attribuirà alla soggettività e all’io privato una dimensione dominante.

Luperini ha del resto più volte sottolineato con forza che, per dare un senso all’esistenza, è necessario porsi delle domande basilari sul senso della stessa e, attraverso un processo di tipo psicologico, elaborare una propria storia in rapporto con il passato.

È proprio questo, dunque, ciò che sia il singolo sia la comunità sono chiamati a fare.

Benedetta Giampietri, Simone Orsatti

Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi

February 13, 2013

San Marcello Pistoiese, Italia

Classical authors have not only an literary importance but they found a civilization”.

More or less with these words Romano Luperini opens his speech dedicated to the theme of the dead from Homer to Dante.

Through a path in diachrony he aims to analyse the topic highighting, in the first place, the difference between the ancient world and the modern world.

In the ancient world, the poem was composed primarily in order to found a civilization and was therefore especially epic poetry. Less important was the weight that was attributed to lyric poetry, although this does not exclude even a large production (think, in this regard, of the Liber of the famous Latin poet Catullus).

Lyric poetry, moreover, assumes preponderant value only from the nineteenth century on the basis of one of the greatest exponents of Italian Romanticism, Giacomo Leopardi, wo gives to the subjectivity of the self and a private dominant dimension. Luperini, moreover, states that in order to give meaning to life you need to ask the basic questions, and through a psychological process, making its own history in relation to the past.

This is what both the individual and the community are called to do.

 

Benedetta Giampietri, Simone Orsatti

Editorial Supervisor: Elisa Lucchesi

Link

“Learning to fly”

7 Febbraio 2013

Da qualche parte, in Europa

A lungo ho avuto paura di riprendere il volo,

ma ora sento che è tempo di sciogliere le gomene e navigare di nuovo nel gran mare dell’Essere.

Come l’Ulisse dantesco ho voglia di sfidare il destino,

inseguendo fino in fondo virtute e canoscenza.

Ho le penne lacerate dai cicloni, eppure sento ancora addosso la voglia di volare.

Paradossi di un’inquietudine si dipanano,

da una poesia di Montale fino a un autobus in direzione aeroporto.

Ma adesso scacciamo i fantasmi antichi e partiamo.

So let’s get on board, leave and fly!

Elisa Lucchesi

February 7, 2013

Somewhere in Europe

For a long time I had been scared of flying again.

But now I feel it’s time to untie the hawsers and sail again in the big sea of Being.

Just like Dante’s Ulixes I want to go for broke, givin’ chase to virtute e canoscenza.

I’ve got my wings broken by the cyclons; anyway I still feel like flying.

Paradoxes of my restlessness are scattered from a Eugenio Montale’s poem to a bus leading to the airport.

But now let’s banish the ancient ghosts and start travelling again.

So let’s get on board, leave and fly!

 

Elisa Lucchesi